TangoTerapia. Le conclusioni
Bentornati all’appuntamento settimanale con la TangoTerapia. Dopo aver passeggiato attraverso i sentieri di questo interessante percorso, siamo giunti al termine. Oggi vi racconterò com’è andata a finire…
I risultati ottenuti sono stati maggiori delle aspettative, sia perché ho potuto constatare l’efficacia del lavoro osservando dei cambiamenti nei partecipanti, cioè il fatto di poter prendere coscienza del proprio corpo nonché delle proprie emozioni e di poter condividere con il gruppo quello che ognuno stava vivendo fuori e dentro le lezioni, sia perché, personalmente, questa esperienza è stata molto gratificante e di grande crescita a livello professionale e individuale.
Vorrei comunque lasciare alle parole che io e la mia amica di viaggio, l’insegnante di Tango Natalia Giacchino, ci siamo scambiate alla fine dell’esperienza, il compito di raccontarvi i risultati finali.
NATALIA GIACCHINO
Ho cominciato questa esperienza con l’idea di poter trasmettere la passione per il tango e anche credendo profondamente che il tango possa fare del bene alle persone.
Durante il lavoro ho capito anche di essere entrata nei gruppi non solo come l’insegnante di tango ma anche come un’altra partecipante. Questo è stato solo perché ho imparato insieme a loro, e il fatto di ascoltarli parlare di loro mi ha dato modo di riflettere su tante cose della mia vita. Per questo motivo tutta l’esperienza è stata doppiamente gratificante, sia per i miei obiettivi professionali sia perché sento di aver fatto un passo avanti anche a livello personale.
Con il gruppo dei normodotati, per tutta la durata dell’esperienza il mio lavoro è stato quello di poter facilitare il gruppo mediante esercizi sulla consapevolezza del proprio corpo, del corpo dell’altro, dello spazio, della responsabilità, sia con se stessi, sia con gli altri, della fiducia, del rispetto. Tutti questi aspetti favoriscono l’acquisizione di una tecnica migliore nella danza del tango. Ma come fare a trasmettere anche la passione? Più o meno al terzo incontro ho fatto ascoltare al gruppo dei tanghi, i quali dopo sono stati tradotti in italiano. In questo modo il gruppo poteva anche sapere cosa stava ballando e in più il fatto di commentare i testi ha aiutato ad entrare maggiormente nella cultura del tango. Ogni lezione la musica veniva selezionata prima, e così gli esercizi venivano fatti con le musiche adatte. La musica è stata l’elemento più importante per poter trasmettere al gruppo la passione, un po’ perché a tutti piaceva già da prima la musica del tango ma soprattutto perché sono riusciti a metterla dentro il proprio corpo e così mediante la danza ad esprimerla ognuno a suo modo.
I momenti per me più emozionanti sono stati soprattutto quelli in cui i partecipanti lavoravano sul contatto con l’altro. La prima volta che hanno avuto un contatto fisico tra di loro è stato il secondo giorno, la consegna era quella di camminare in coppia e la persona che veniva guidata doveva appoggiare solo una mano sul petto dell’altra. Alcuni di loro già dall’inizio hanno chiuso gli occhi.
Altre volte ho chiesto loro di camminare abbracciati, molto stretti, e anche in queste occasioni chi veniva guidato doveva chiudere gli occhi e abbandonarsi completamente all’altro. In questi momenti per me guardarli assolutamente sedotti da questo lavoro era veramente emozionante, perché si vedeva chiaramente che loro stavano provando delle emozioni forti nel fare questo.
Invece con il gruppo Parkinson il lavoro è stato un po’ diverso. Molti degli esercizi proposti sono stati gli stessi dell’altro gruppo, ma con qualche differenza, per evitare che perdesse l’equilibrio.
Con loro non ho fatto lo scambio dei ruoli, ma ho chiesto qualche volta alle donne di portare gli uomini, ma sempre facendo il ruolo da donna. In questo gruppo non c’è stata la possibilità di fare un vero lavoro psicoterapeutico, ma comunque nel momento in cui loro si riposavano, più o meno a metà lezione, potevano parlare o raccontarsi avendo così modo di esprimere i propri vissuti. Qualche volta abbiamo tradotto dei testi delle canzoni per dopo commentarli, altre volte sono stati loro a portare del materiale, musica, preghiere, e uno di loro ha portato delle canzoni cantate da lui stesso. Questi sono stati momenti emotivamente molto intensi, loro potevano parlare delle proprie esperienze e il fatto di parlare anche del tango, e della sua cultura in molte occasioni faceva loro rievocare i tempi passati. A volte parlavano della loro malattia e di come ognuno viveva questa cosa. Sono stati invitati a partecipare anche i familiari alle lezioni, ma quasi nessuno ha continuato a venire. Una delle cose che più mi ha colpita di questo gruppo è stato il modo in cui si è rapidamente uniformato come gruppo, e il modo in cui i partecipanti coinvolgevano tutte le persone esterne che capitavano alle lezioni, fisioterapisti o tirocinanti che magari non conoscevano nemmeno, integrando tutti senza farsi problemi. Quando stava finendo l’esperienza è stato molto gratificante sentir dire da loro quanto siano stati bene e quanto erano dispiaciuti che dovesse finire. Una delle partecipanti, la più anziana, ha detto “ mi hanno costretta a venire e adesso vengo volentieri”.
MARIA GIORSA
Quando è iniziata questa esperienza avevo un’immagine nella mia mente di come il progetto avrebbe dovuto prendere corpo, ma mai e poi mai mi sarei immaginata una risposta tanto positiva e con risultati così soddisfacenti.
Il mio obiettivo era verificare se ed eventualmente in che misura la pratica del tango potesse influire sulla percezione che ogni individuo aveva del proprio benessere. Senza entrare nel dettaglio dei dati tecnici raccolti, posso però dire di aver testato personalmente il miglioramento avuto a largo raggio negli utenti: a partire dalla più intensa vivacità nella partecipazione agli incontri, fino a un senso di maggiore consapevolezza corporea, per arrivare alla apertura e disponibilità nei confronti dell’altro.
Naturalmente i risultati ottenuti dai due gruppi sono stati estremamente diversi soprattutto per la differenza nel target stesso. In ogni modo comune a entrambi ho trovato il crescente senso di appartenenza al gruppo e la fiducia via via maggiore ad aprirsi e farsi conoscere dagli altri compagni.
Nel gruppo Parkinson ovviamente la patologia aveva un ruolo da protagonista. Questo ha comportato numerosi vincoli che ci hanno indotto a reinventare nuove soluzioni per fare in modo che anche questi utenti potessero vivere pressoché le stesse esperienze dell’altro gruppo. È stato estremamente interessante e coinvolgente per me osservare come questi anziani malati abbiano avuto la voglia e la soddisfazione non solo di mettersi in gioco, ma anche di farlo fino alla fine, portando con se un grande bagaglio di esperienza di vita e decidendo di condividerlo. Probabilmente la loro è rimasta un’esperienza memorabile….andare all’ospedale a fare riabilitazione e ritrovarsi a ballare il tango…e questo ha creato una sorta di eccitazione che era ben visibile nei loro occhi e che gli ha permesso di sentirsi meglio. Chiaramente la sperimentazione non è stata abbastanza lunga e sufficientemente standardizzabile, ma io sono una psicologa e non una ricercatrice e per me era importante osservare lo status emotivo che andava mutando e prendendo colore in un crescendo di fiducia e giocosità che mi ha molto emozionata.
Non da meno è stato l’altro gruppo, persone prive di forme patologiche e con un’età mediamente più bassa. Questo gruppo ha permesso una maggiore esplorazione sia dei vissuti corporei che dei vissuti emotivi, scendendo in alcuni casi nelle profondità degli animi, il tutto permesso dalla sperimentazione del tango. La musica, la possibilità di esprimersi nei diversi ruoli, l’assenza di giudizio nel gruppo, sono tutte situazioni che nella quotidianità queste persone non potevano sperimentare. Di conseguenza la partecipazione è diventata per loro una sorta di psicoterapia vera e propria. A disposizione di questi utenti c’era anche la possibilità di effettuare in itinere dei colloqui individuali con me, soprattutto per coloro che nel gruppo vivevano delle esperienze per loro particolarmente importanti, così da dare una cornice emotiva più nitida. È stato molto bello vedere come quasi tutti hanno usufruito di tale possibilità, proprio a riprova di come abbiano ritenuto importante utilizzare appieno lo strumento Tangoterapia. Proprio con questo vorrei concludere questa riflessione, con il fatto cioè che la Tangoterapia è uno strumento e in quanto tale si presta a essere utilizzato a uso e consumo del nostro benessere in tutte le sue sfaccettature.
Siamo arrivati alla fine del racconto di questo percorso per me memorabile.
Oltre a ringraziare tutte le persone che hanno permesso la realizzazione del tutto, in primis gli utenti, ma anche e soprattutto la mia compagna di viaggio Natalia Giacchino, vorrei qui, in ultima istanza, fare un ringraziamento particolare: questo ringraziamento è rivolto all’Energia che tutto muove e che mi ha permesso, a distanza di alcuni anni, di trovare lo stimolo di scrivere finalmente questa storia e raccontarla a voi, sperando di aver incontrato il vostro interesse e soprattutto la vostra curiosità. Mi auguro che la TangoTerapia abbia comunicato a tutti la profonda emozione che ha dato a me viverla da protagonista. Grazie.